mercoledì 27 giugno 2018

Marocco



Fotografia di Ilaria Daddario

Abiti comodi, zaino pieno di curiosità e parecchia voglia di avventura a fare da guida: così ho affrontato questo viaggio in Marocco, sorprendendomi di ogni dettaglio con entusiasmo. È bastato poco per rendermi conto di quanto questo luogo fosse stravagante, vivo, caotico e travolgente; piena di gente e tipicità, rumorosa e vivace, misteriosa e religiosa, Marrakech ha mille facce, odori, colori, sapori. Durante quei giorni ho spalancato gli occhi molto spesso, incredula, sorpresa e affascinata, rapita da abitudini e tradizioni di cui non sapevo quasi nulla. Ho conosciuto persone gentili, mi hanno aiutata, mi hanno offerto del tè svariate volte, mi hanno fatto regali e raccontato storie del posto solo per il gusto di farlo e poi ho incontrato anche gente scaltra dai sorrisi accattivanti di chi vuole solo guadagnarci qualcosa. Ho visto bambini stupendi giocare nei vicoli stretti e anziani vispi al lavoro o addormentati nei carretti agli angoli delle strade; e poi ho visto tanto lavoro, a tutte le età, abilissimi commercianti dalla voce squillante e tante bellissime donne orgogliose dei loro veli colorati e dei loro abiti tradizionali. Hanno tutti sguardi curiosi che scrutano, uguali ai nostri del resto. Ho visto luoghi pazzeschi colmi di storie intriganti e ho respirato natura e città insieme; ho scoperto perché viene chiamata terra rossa e ho ammirato come in uno stesso territorio possano convivere sorprendentemente mare, deserto e città imperiali. Il suono allegro dei tamburi africani risuona ovunque e dalle mani di chiunque, compresi i bambini. Gli odori del cibo si diffondono in ogni dove, in particolare quelli delle numerose spezie: impossibile non assaggiarle, soprattutto nel tipico Tajin, preparato in così tante versioni, ovunque, a qualsiasi ora! La Medina è davvero un labirinto come si sente dire e davvero il primo giorno si può girare per due ore e mezza tra quelle viuzze cercando il proprio Riad; riuscire ad orientarsi sembrava impossibile, mi sentivo quasi smarrita. Poi, incredibilmente, in poco tempo e senza nemmeno poi così tanta attenzione, è successo che quelle strade le ho sentite un po’ più mie, ho imparato a muovermi con sicurezza e la sensazione è stata così piacevole che non volevo smettere più di camminare. Faccio fatica a descrivere fedelmente tutto quello che ho visto, ogni descrizione resta incompleta. Quando sono arrivata in piazza Jemaa El-Fnaa, patrimonio Unesco, ho creduto di trovarmi in uno dei posti più stravaganti e bizzarri; ci sono stata più e più volte e ogni foto scattata si è rivelata sempre diversa, seppur dello stesso scorcio. È una piazza che non si ferma mai, centro vitale della città di Marrakech, concentrato di tradizioni arabe tramandate e delle attività più disparate, dinamica e divertente, colorata e dalle mille sfumature: cambia aspetto ad ogni ora. La circondano locali e bar dalle cui terrazze si può ammirare quanto e come il sole la sfiori sempre in modo diverso, soprattutto durante il tramonto mozzafiato. E poi, al centro, qualsiasi cosa: indovini e mendicanti, giocolieri e acrobati, cantastorie e saltimbanchi, volatili o scimmie che si esibiscono, musicisti, incantatori di serpenti, donne che tatuano decorazioni con l’henné su mani e piedi, cocchieri e carrozze trainate da cavalli, bancarelle e carretti, artisti e venditori e chi più ne ha, più ne metta. Tutt’intorno, il traffico indomabile della città in cui si mescolano carri trainati da asini, calessi con cavalli, automobili, biciclette, moto e pedoni, tutti nella stessa strada! Arriva la sera e con la suggestiva Moschea sullo sfondo, la piazza si illumina, trasformandosi in un grande ristorante a cielo aperto in cui gustare qualsiasi piatto tipico a pochi dirham, spesso accolti da cuochi allegri che festeggiano ogni decina di minuti. Ogni giorno è uno spettacolo nuovo e senza tempo. E poi ho adorato perdermi per le vie strette e inesauribili del Suq, tra bancarelle colorate e instancabili artigiani. Imparare parole arabe e conoscere le loro storie. E poi passare la notte in un accampamento berbero nel deserto del Sahara, immenso, con solo l’essenziale da condividere con tanta gente diversa e allo stesso tempo unita. Di quel deserto non vedevo l’inizio né la fine, un po’ come succede con il mare; lo sguardo si perdeva tra i canti di quelle dune così misteriose e il panorama era eccitante e spaventoso allo stesso tempo. L’ho guardato in diversi momenti del giorno e della notte e ogni volta la vista era sempre uguale ma in realtà sempre diversa, in continuo cambiamento, in accordo col vento. Ho guardato l’alba sul dorso di un dromedario e ho visto un cielo e delle stelle che mai avevo visto prima di quel momento.
Mi sono sentita nel posto giusto, al momento giusto.

Ilaria Daddario

venerdì 22 giugno 2018

Ingenui istanti



Fotografia di Roberto Bramati

Quanto spesso si fa attenzione alle piccolezze, agli istanti apparentemente più semplici e banali? Come l’istante in cui uno sguardo si posa curioso, in cui una mano sfiora delicata. Dettagli lasciati al caso, figli di abitudini a cui non si presta abbastanza attenzione. L’istante in cui nasce spontaneo un sorriso, in cui un sapore diventa buono. L’istante in cui un profumo si diffonde o in cui parte quella canzone perfetta. Piccole bellezze ordinarie, ingenuo benessere per l’anima. L’istante in cui ci si sorprende per qualcosa, gli istanti di attesa prima di un finale. Fortune di ogni giorno. L’istante in cui un amico chiama o quello in cui giunge un bacio inatteso. L’istante in cui un vento fresco ordina i pensieri e l’istante in cui le onde calme del mare toccano la pelle accaldata dopo ore di sole. L’istante in cui ti rendi conto che la strada che percorri è quella giusta e quello in cui capisci che di istanti così non ne hai mai abbastanza.
Ilaria Daddario

Pubblicato sulla posterzine mensile (versione telematica) Locomotiv

http://www.asslastazione.it/2018/07/09/ingenui-istanti/

sabato 9 giugno 2018

Note



Suona la chitarra qui davanti a me e gli sorridono gli occhi. 
Muove le dita sulle corde e sui tasti per riprodurre dei suoni, delle melodie, delle emozioni. 
Suona, e mentre lo fa mi guarda e sembra che quegli accordi li strimpelli direttamente sulla mia pelle: lenti o veloci, precisi, diretti, penetranti, li sento miei allo stesso modo. 
Come una canzone che ti entra dentro, e non puoi fare a meno di cantare. 

Ilaria Daddario