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Fotografia di Ilaria Daddario |
Abiti comodi, zaino
pieno di curiosità e parecchia voglia di avventura a fare da guida: così ho
affrontato questo viaggio in Marocco, sorprendendomi di ogni dettaglio con
entusiasmo. È bastato poco per rendermi conto di quanto questo luogo fosse
stravagante, vivo, caotico e travolgente; piena di gente e tipicità, rumorosa e
vivace, misteriosa e religiosa, Marrakech ha mille facce, odori, colori, sapori.
Durante quei giorni ho spalancato gli occhi molto spesso, incredula, sorpresa e
affascinata, rapita da abitudini e tradizioni di cui non sapevo quasi nulla. Ho
conosciuto persone gentili, mi hanno aiutata, mi hanno offerto del tè svariate
volte, mi hanno fatto regali e raccontato storie del posto solo per il gusto di
farlo e poi ho incontrato anche gente scaltra dai sorrisi accattivanti di chi vuole
solo guadagnarci qualcosa. Ho visto bambini stupendi giocare nei vicoli stretti
e anziani vispi al lavoro o addormentati nei carretti agli angoli delle strade;
e poi ho visto tanto lavoro, a tutte le età, abilissimi commercianti dalla voce
squillante e tante bellissime donne orgogliose dei loro veli colorati e dei
loro abiti tradizionali. Hanno tutti sguardi curiosi che scrutano, uguali ai
nostri del resto. Ho visto luoghi pazzeschi colmi di storie intriganti e ho
respirato natura e città insieme; ho scoperto perché viene chiamata terra rossa
e ho ammirato come in uno stesso territorio possano convivere sorprendentemente
mare, deserto e città imperiali. Il suono allegro dei tamburi africani risuona
ovunque e dalle mani di chiunque, compresi i bambini. Gli odori del cibo si
diffondono in ogni dove, in particolare quelli delle numerose spezie:
impossibile non assaggiarle, soprattutto nel tipico Tajin, preparato in così
tante versioni, ovunque, a qualsiasi ora! La Medina è davvero un labirinto come
si sente dire e davvero il primo giorno si può girare per due ore e mezza tra
quelle viuzze cercando il proprio Riad; riuscire ad orientarsi sembrava
impossibile, mi sentivo quasi smarrita. Poi, incredibilmente, in poco tempo e
senza nemmeno poi così tanta attenzione, è successo che quelle strade le ho
sentite un po’ più mie, ho imparato a muovermi con sicurezza e la sensazione è
stata così piacevole che non volevo smettere più di camminare. Faccio fatica a
descrivere fedelmente tutto quello che ho visto, ogni descrizione resta
incompleta. Quando sono arrivata in piazza Jemaa El-Fnaa, patrimonio Unesco, ho
creduto di trovarmi in uno dei posti più stravaganti e bizzarri; ci sono stata più
e più volte e ogni foto scattata si è rivelata sempre diversa, seppur dello stesso
scorcio. È una piazza che non si ferma mai, centro vitale della città di
Marrakech, concentrato di tradizioni arabe tramandate e delle attività più
disparate, dinamica e divertente, colorata e dalle mille sfumature: cambia aspetto
ad ogni ora. La circondano locali e bar dalle cui terrazze si può ammirare
quanto e come il sole la sfiori sempre in modo diverso, soprattutto durante il tramonto
mozzafiato. E poi, al centro, qualsiasi cosa: indovini e mendicanti, giocolieri
e acrobati, cantastorie e saltimbanchi, volatili o scimmie che si esibiscono,
musicisti, incantatori di serpenti, donne che tatuano decorazioni con l’henné
su mani e piedi, cocchieri e carrozze trainate da cavalli, bancarelle e
carretti, artisti e venditori e chi più ne ha, più ne metta. Tutt’intorno, il
traffico indomabile della città in cui si mescolano carri trainati da asini,
calessi con cavalli, automobili, biciclette, moto e pedoni, tutti nella stessa
strada! Arriva la sera e con la suggestiva Moschea sullo sfondo, la piazza si
illumina, trasformandosi in un grande ristorante a cielo aperto in cui gustare
qualsiasi piatto tipico a pochi dirham, spesso accolti da cuochi allegri che
festeggiano ogni decina di minuti. Ogni giorno è uno spettacolo nuovo e senza
tempo. E poi ho adorato perdermi per le vie strette e inesauribili del Suq, tra
bancarelle colorate e instancabili artigiani. Imparare parole arabe e conoscere
le loro storie. E poi passare la notte in un accampamento berbero nel deserto
del Sahara, immenso, con solo l’essenziale da condividere con tanta gente
diversa e allo stesso tempo unita. Di quel deserto non vedevo l’inizio né la
fine, un po’ come succede con il mare; lo sguardo si perdeva tra i canti di
quelle dune così misteriose e il panorama era eccitante e spaventoso allo
stesso tempo. L’ho guardato in diversi momenti del giorno e della notte e ogni
volta la vista era sempre uguale ma in realtà sempre diversa, in continuo
cambiamento, in accordo col vento. Ho guardato l’alba sul dorso di un
dromedario e ho visto un cielo e delle stelle che mai avevo visto prima di quel
momento.
Mi sono sentita nel
posto giusto, al momento giusto.
Ilaria Daddario