Sono su un treno, mi sta riportando a casa mia. Fuori dal finestrino guardo scorrere immagini e me.
Oltre il vetro i colori si esprimono liberi, esplodono sfacciati e poi si mescolano l'uno all'altro. Elementi diversi e coraggiosi, capaci di connettersi e riversarsi in un unico insieme, si legano e si confondono inventando qualcosa di nuovo, ogni volta.
Mi raccontano dello scorrere di un tempo che è mio e di tutti, frettoloso e pigro, riempito e svuotato, a volte così discreto e a volte così ingombrante.
Piove.
Incuriosita e distratta sorpasso con gli occhi le gocce sul vetro e ascolto i miei respiri larghi posarsi su una strada bagnata con un cancello nero aperto, poi su un albero di ulivo dal tronco robusto e annodato, poi su un muretto a secco malandato, poi su una casa con lunghe tende bianche alle finestre, a coprire chissà quali storie.
Poi sul cielo.
Poi su un ponte: il collegamento tra ciò che è apparentemente lontano, separato, impossibile da raggiungere. Ponte di attraversamento tra ambivalenze, connessione di tutte le sfumature di una sola anima, sempre la stessa e anche continuamente rinnovata e nuova.
Guardo oltre il finestrino di questo treno che mi sta riportando a casa mia. Ma forse l'ho lasciata indietro o forse ci sono già o forse non ci arriverò mai, anima itinerante e nomade, seguace di un vento fresco che arriva da lontano e che porta dove non so, di luogo in luogo, di persona in persona, di emozione in emozione.
Qui la mia storia esiste già, radicata e leggera, piena di passeggeri, di fermate, di paesaggi, di direzioni.
Tutto così mio.
Ilaria Daddario